Dazi USA e Imprese Italiane

Aziende sotto pressione tra instabilità globale e sfiducia diffusa

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Le recenti politiche protezionistiche adottate dagli Stati Uniti, unite alla crescente incertezza internazionale, stanno aggravando la fragilità economica globale. In Italia, le aziende evidenziano segnali preoccupanti su vari fronti.

Il secondo trimestre del 2025 si è aperto in un clima economico internazionale fortemente instabile. Le nuove barriere commerciali volute dagli Stati Uniti sotto la leadership di Donald Trump hanno riacceso la discussione sull’affermazione del protezionismo e sui suoi impatti sui mercati mondiali. Tra i Paesi maggiormente vulnerabili c’è l’Italia, dove le imprese già affrontano rincari energetici, difficoltà nell’ottenere finanziamenti e un calo generalizzato della fiducia.

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Il ritorno del protezionismo americano frena la crescita globale

Con la nuova amministrazione Trump alla guida degli Stati Uniti, la strategia commerciale americana si è orientata verso una linea più protezionistica, che prevede un inasprimento dei dazi nei confronti di partner rilevanti come l’Unione Europea e la Cina. L’intento è quello di salvaguardare il settore manifatturiero nazionale, ma le conseguenze si riflettono su scala globale: aumento dei costi per le imprese, rallentamento degli scambi internazionali e interruzioni nelle catene di fornitura.

Secondo un’analisi di PwC, questo scenario produce un effetto domino che si inserisce in un contesto già caratterizzato da tensioni geopolitiche e instabilità economica diffusa. L’UE ha replicato con contro-dazi per un valore di 26 miliardi di euro, e l’Italia, che nel 2024 ha esportato verso gli USA per 64,7 miliardi, si ritrova esposta. Una simulazione evidenzia che in uno scenario particolarmente negativo, il PIL italiano potrebbe ridursi fino allo 0,2% a causa del calo dell’export verso gli Stati Uniti. Tuttavia, l’impatto potrebbe ritorcersi anche contro le aziende statunitensi, soprattutto quelle integrate in catene produttive internazionali, che subiranno un aumento dei costi e una riduzione della competitività nel medio periodo.

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Settori chiave del Made in Italy a rischio

Tra i Paesi europei, l’Italia risulta uno tra i più vulnerabili alle nuove tariffe americane. Le restrizioni colpiscono in maniera trasversale comparti cruciali dell’economia italiana, sia per il volume di esportazioni sia per l’occupazione.

I settori più impattati sono quelli a più alta vocazione internazionale: macchinari e impianti, autoveicoli e altri mezzi di trasporto, farmaceutico, alimentare, chimico, bevande, e naturalmente tutto il comparto della moda e tessile, emblema del Made in Italy. Si tratta di industrie ad alto contenuto di valore aggiunto, che negli anni hanno costruito una presenza solida sui mercati statunitensi, oggi però minacciata da rincari doganali e possibili contromisure commerciali.

Secondo i dati Creditsafe, le aziende italiane attive in questi settori sono oltre 176.000, con una distribuzione geografica che riflette la composizione del sistema produttivo nazionale. Il Centro Italia ospita oltre il 35% delle imprese del settore moda, mentre il comparto alimentare è più diffuso tra Nord-Ovest e Sud. L’industria chimico-farmaceutica è concentrata soprattutto nel Nord-Ovest, che rappresenta oltre il 40% del totale, mentre macchinari e autoveicoli si dividono tra Nord-Ovest e Nord-Est.

Settori Chiave Made in Italy Dazi

A rendere il quadro ancora più delicato è la dimensione aziendale: l’87% di queste imprese è costituito da piccole e micro realtà, con il 75% che conta meno di 20 dipendenti e, tra queste, oltre la metà (54%) con meno di 5 addetti. Questa struttura rende le aziende più esposte agli shock esterni, come l’introduzione dei dazi o l’instabilità internazionale. Tuttavia, l’impatto derivato varierà a seconda del settore e della quota di esportazioni destinate al mercato statunitense.

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Il clima di fiducia peggiora

L’introduzione dei nuovi dazi arriva in un momento di debolezza e di per sé già complesso per l’economia italiana. L’Osservatorio Imprese di Format Research mostra come nel primo trimestre 2025 il sentiment delle aziende italiane sia peggiorato in modo significativo. Le preoccupazioni non riguardano solo la congiuntura economica generale, ma anche la salute delle singole imprese, molte delle quali prevedono un deterioramento della propria situazione finanziaria.

I ricavi del primo trimestre risultano in forte calo rispetto all’anno precedente, senza segnali di ripresa nel breve periodo. A questo si aggiunge un’impennata dei costi operativi, in particolare legati ai prezzi dell’energia, ancora tra i principali ostacoli per le imprese.

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Accesso al credito in contrazione

L’instabilità economica ha effetti anche nei rapporti tra aziende e banche. Nel primo trimestre 2025, un’impresa su cinque ha richiesto un prestito, una linea di credito o una modifica delle condizioni esistenti. Il 58% ha ottenuto quanto richiesto o di più, il 20% una somma inferiore, mentre il 14% ha ricevuto un rifiuto. Anche se non si parla ancora di vera e propria stretta creditizia, si registra un trend di irrigidimento: cala la percentuale di richieste accolte integralmente (da 66% a 58%)  e cresce quella delle domande respinte o parzialmente soddisfatte (da 26% a 34%).

L’indagine sul credito bancario della Banca Centrale Europea conferma il trend: gli standard per l’erogazione dei finanziamenti si sono inaspriti, a causa della maggiore percezione del rischio economico, delle incertezze settoriali e della minore propensione al rischio da parte degli istituti di credito. Parallelamente, le condizioni di erogazione rimangono rigide: aumentano le garanzie richieste, peggiorano le valutazioni sulla durata dei finanziamenti e si rafforza la selettività nei criteri di concessione.

A conferma delle difficoltà del contesto economico attuale, dall’Osservatorio Imprese emerge che il 75,6% delle imprese ha fatto ricorso al credito per esigenze di liquidità, il 21,4% per investimenti e solo il 3% per ristrutturare debiti esistenti. L’orientamento verso il breve termine evidenzia una fragilità strutturale, con molte micro imprese prive di strumenti adeguati per affrontare scenari complessi.

Motivazioni Per Finanziamento

Anche i flussi finanziari subiscono un rallentamento: il 33% delle imprese denuncia un allungamento dei tempi di incasso da parte dei clienti, con un aumento del 25% rispetto all’anno precedente. Sostanzialmente, si incassa meno e più tardi, facendo rallentare l’intera filiera economica. L’unico indicatore relativamente stabile è l’occupazione, che non registra ancora un calo significativo. Tuttavia, questa tenuta appare fragile, considerando la stagnazione dei ricavi e la contrazione degli investimenti.

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Conclusione: tra resistenza e vulnerabilità delle imprese italiane

Il 2025 si presenta come un anno complesso, in cui le dinamiche internazionali cambiano rapidamente e le aziende italiane si trovano sotto pressione. Il ritorno del protezionismo e l’aumento delle tensioni geopolitiche non sono più fattori temporanei, ma variabili strutturali che limitano la capacità di pianificazione e di investimento. I dazi americani proposti da Donald Trump mettono a rischio la competitività delle imprese italiane e del Made in Italy, soprattutto nei comparti ad alta propensione all’export. L’aumento dei costi per operare nel mercato statunitense può generare un effetto domino: riduzione della domanda, compressione dei margini, perdita di quote di mercato e impatto sull’occupazione.

Per affrontare queste sfide, l’Italia dovrà rafforzare la tenuta del proprio sistema produttivo, attraverso strategie condivise tra aziende, istituzioni e sistema finanziario, con l’obiettivo di trasformare la fragilità attuale in una base per la ripresa futura.

Questo contenuto nasce dalla collaborazione tra Creditsafe e Money.it, con l'obiettivo di unire la visibilità di una testata riconosciuta a livello nazionale e la Business Information di Creditsafe ed approfondire  temi legati al mondo impresa italiano.

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